Un itinerario alla scoperta delle opere di Gian Lorenzo Bernini a Roma
Una serie di capolavori dello scultore assolutamente da non perdere in città
Osarono superare l’impensabile, anche per i viziati papi rinascimentali. Fasto e opulenza, per i pontefici del secolo d’oro di Roma, significava suggestionare e indottrinare. E Gian Lorenzo Bernini (1598-1680), passionale e violento, generoso e despota dette vita ai loro sogni. Dettando legge per quasi 60 anni. Fece sue, con nonchalance, le soluzioni più innovative, come gli spazi ellittici del suo rivale Francesco Borromini (1599-1665). E dalla sua, giocò l’età. Visse a lungo. E primeggiò in tutti i campi, compresa la nascente scenografia, trasformando Roma in un gran teatro.
Un mondo rutilante dove opulenza e povertà, oscurantismo e Inquisizione, stridono e convivono. Viuzze sporche e maleodoranti, catapecchie e bottegucce si aprivano all’improvviso su piazze sontuose, su palazzi imponenti, giardini da favola. Roma disorientava e stupiva i visitatori stranieri. Dominava il mondo, ma alla fine del ‘600, tra guerre, corruzione e sprechi avrebbe perso quasi tutto.
Mentre Bernini, Borromini e Pietro da Cortona (1596-1669), creavano il Barocco.
E il primo a dar fiducia all’artista, di origini fiorentine ma napoletano di nascita, fu il cardinale Scipione Borghese (1577-1633) nipote di Paolo V (1605-1621) per cui già lavorava il padre Pietro (1562-1629) in SantaMaria Maggiore dove poi i Bernini saranno sepolti. Una semplice lastra li ricorda, come volle lo stesso Lorenzo. Uomo religioso e adepto della potente Compagnia di Gesù. La fama gli arriva subito con le statue per Palazzo Borghese: a vent’anni scolpisce col padre Enea, Anchise e Ascanio, ancora manierista nel suo torcersi a spirale. E’ adolescente quando ritrae Giovanni Maria Santoni, maggiordomo di Sisto V iniziando così la fortunata serie dei ritratti parlanti. Nel marmo imprime espressioni vive: mentre sorridono, parlano, ammiccano o sono tesi in rabbiosa concentrazione come il David colto mentre lancia il sasso. Precoce lo era di sicuro: modella il marmo come fosse gesso e lo arricchisce di stucchi e bronzi. E’ ciò che vuole la Chiesa: stupire e trionfare al tempo stesso. Nel Ratto di Proserpina c’è lotta, ma le dita di Plutone premono lievi sulla carne della dea. In Apollo e Dafne l’occhio viene catturato dalla metamorfosi della ninfa. Bernini ha 24 anni. Urbano VIII (1623-1644) lo considera il nuovo Michelangelo. E’ l’apoteosi. Col padre, architetto dell’Acqua Vergine (ruolo poi suo), fa la fontana della Barcaccia. Il papa è entusiasta. Gli affida il restauro e la statua di SantaBibiana. E quando, nel 1629, muoiono sia il padre che l’architetto di San PietroCarlo Maderno (1556-1629), Bernini eredita la prestigiosa fabbrica.
E subito realizza il monumentale Baldacchino in bronzo. Cosa non fecero i barbari, fecero i Barberini diranno poi i romaniperché per trovare il bronzo si spoglia anche il Pantheon. Lavora a Palazzo Barberini, fa le fontane del Tritone e delle Api (la casata un tempo si chiamavaTafani). E ancora il monumento funebre di Urbano VIII e la statua di San Longino.
Ha poco più di trent’anni e il mondo ai suoi piedi. E’ invitato a tutte le feste e si diletta a creare apparati teatrali. E’ di questi anni l’incontro con Costanza Bonarelli, amante sia sua che del fratello Luigi. Accecato dalla gelosia quasi ammazza il fratello e tenta di far sfregiare l’amante. Ma a lui tutto è concesso e il papa lo perdona. Intanto lo schivo Borromini stenta. E anche se il San Carlino alle Quattro Fontane (che ispira il vicino Sant’Andrea al Quirinale di Bernini) lo fa diventare architetto di Innocenzo XPamphilj (1644-1655), Bernini riuscirà a soffiargli il progetto per piazza Navona.
Con uno stratagemma messo a punto dalla cognata, forse amante del papa e intima dell’artista Olimpia Maidalchini che fa arrivare al papa il modello in argento della colossale Fontana dei Quattro Fiumi (Gange, Nilo, Danubio, Rio della Plata) a simbolo del mondo allora conosciuto. E Bernini stravince. Anche se era stato estromesso da San Pietro proprio dal papa a causa di problemi strutturali ai campanili. Un’accusa che lui contesta rispondendo ai detrattori con una scultura dal messaggio chiaro: la Verità Scoperta dal Tempo. La sua arte piace ai nobili e ai religiosi e suggestiona il popolo. E’ il secolo in cui fioriscono compagnie religiose sempre più potenti e in cui si canonizzano decine di santi. Figure leggendarie e trascinanti: i più poveri sperano nei miracoli, partecipano al delirio collettivo, gli altri si godono gli spettacoli. Come sembrano fare i Cornero in Santa Maria dellaVittoria davanti all’Estasi di Santa Teresa d’Avila. Loro sembrano a teatro, mentre la sensualità dell’estasi viene scandita da una lama di luce naturale.
Con Alessandro VII (1655-1667) Fabio Chigi, Bernini è al top. Sono anni difficili, ma a Roma non si bada a spese. Arriva Cristina di Svezia, appena convertita, e per lei disegna una lussuosa carrozza (i nobili le usavano per sfilare baldanzosi lungo il Corso) e crea le chiese gemelle di piazza del Popolo. Completa poi San Pietro con la Scala Regia, Il Costantino, la Cattedra del santo e la piazza. Sfrutta l’ellissi per esaltare l’effetto meraviglia e fa emergere la cupola allontanando la facciata con due colonnati a prospettiva invertita. E ancora un’estasi coinvolgente: la Beata Ludovica Albertoni in San Francesco a Ripa.