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Il grande regista Quentin Tarantino (photo cover Nicolas Guerin)

text Giovanni Bogani

16 Dicembre 2021

Uragano Quentin

Tarantino, premio alla carriera della Festa del Cinema 2021, e il suo amore per Roma e l’italianità

Parla a raffica, Quentin Tarantino. Come sempre: con l’irruenza, con l’entusiasmo che sono le sue caratteristiche, da sempre. Da quando era riuscito a convincere i suoi amici a girare un piccolo film a basso budget, oggi andato perduto, quando ancora lavorava in un videonoleggio come commesso. Dei grandi registi, allora, leggeva i nomi sulle confezioni di plastica delle Vhs. Adesso è uno di loro. Uno dei più grandi.  

Quentin Tarantino ha ricevuto, a Roma, dalle mani del regista Dario Argento, il premio alla carriera della Festa del Cinema. Poco prima, si è raccontato alla stampa italiana. 

Quentin Tarantino

“Quando sono a Roma mi sento a casa. Da vent’anni ci vengo regolarmente, per presentare i miei film, e mi sono fatto degli amici. Ma soprattutto, Roma la sento mia, e la sentivo così anche prima di metterci piede”, dice il regista di Pulp Fiction, di Kill Bill, di C’era una volta… a Hollywood, vincitore di due Oscar e di quattro Golden Globes. “Per tutta la prima parte della mia vita non mi sono mosso da casa. Vivevo a Los Angeles, ero commesso in un videostore. Tutto quello che sapevo sul mondo, lo sapevo dai film. E i film che sentivo più vicini erano i film italiani”. 

Mr. Tarantino, sono italiane le sue origini: la nonna era di Portici, il nonno di Castellammare di Stabia. Ma quando è che l’Italia è entrata a far parte davvero della sua vita?

Quando ho visto i film italiani degli anni ’60. I film ‘di genere’. Non che non ami il cinema d’autore italiano, quello di Fellini o di Rossellini, ma il mio colpo di fulmine è stato quando ho visto i film di Sergio Leone. È lui, ancora oggi, la mia più grande ispirazione. 

Pulp Fiction, Uma Thurman

Ama il suo autore al punto da chiamare un tipo di inquadratura ‘un Sergio’…

Sì: quando in un mio film voglio un primissimo piano, come quelli che ci sono nei film di Leone, lo chiamo semplicemente ‘un Sergio’. E tutta la troupe sa che cosa voglio dire.

Perché ama tanto questo genere?

Perché i film western italiani erano molto più divertenti di quelli americani con i grandi attori hollywoodiani. Gli adulti li disprezzavano, usando il termine ‘spaghetti western’ come per dire “guarda questi ridicoli italiani!” Ma noi ragazzini amavamo i film italiani, perché erano divertenti, teatrali, pieni di azione, di sesso, di musica. 

Kill Bill, scena del film

A proposito di musica. A Ennio Morricone ha affidato la colonna sonora di The Hateful Eight, con cui Morricone ha vinto l’Oscar. Qual è stato il vostro rapporto?

Ennio Morricone, che ha caratterizzato così fortemente i film di Leone, è il mio musicista preferito: poterci lavorare insieme era un sogno. Me lo avevano descritto come un tipo molto freddo, difficile. Invece è stato sempre affettuoso, gentile, semplice, modesto. Era una persona dolcissima, un genio con un grande valore umano. È vero che all’inizio non era convinto di lavorare con me: è sua moglie Maria che ha letto il copione del film e gli ha detto: “Ennio, devi farlo!” E Ennio aveva una fiducia totale in sua moglie Maria. 

Per il suo matrimonio con Daniella Pick, Ennio Morricone le ha mandato un regalo di nozze…

Il più bello di tutti quelli che ho ricevuto! Un enorme libro d’arte, con i disegni di Michelangelo Buonarroti. Lo tengo in salotto, mia moglie ed io lo guardiamo sempre. 

A proposito di copioni dei suoi film: ma è vero che quello dell’ultimo non lo faceva vedere a nessuno, neppure agli attori che dovevano interpretarlo?

È vero: non volevo che trapelasse in alcun modo il finale. E l’unico modo era tenerlo sotto chiave. Tutti dovevano entrare nel mio ufficio e leggerlo, davanti a me. Ma nessuno ne aveva una copia. Nemmeno Brad Pitt e Leonardo DiCaprio.

C'era una volta, scena del film

In piena pandemia, nel febbraio 2020, è nato suo figlio Leo.

E tutta la mia vita è cambiata. Già era cambiata da quando ho sposato Danielle, la mamma di Leo. Sono cambiate tutte le mie priorità: penso sia giusto che cambino adesso, che sono verso la fine della mia carriera di regista.

Alla fine della carriera? Ma scherza?

No, niente affatto. Questa è l’idea. Il prossimo sarebbe il decimo film: dieci è un buon numero al quale fermarsi. Ho trent’anni di carriera alle spalle, da Le iene che è del 1991, e direi che va bene così. Penso che al cinema ho dato tutto quello che potevo.

Ma proprio lei, con tante idee, tanti progetti?

Non ho detto che non voglio più fare niente. Potrei scrivere libri, o fare teatro, o pensare a una serie televisiva.

Per esempio, lo girerebbe un film in Italia? 

Assolutamente sì! Mi piacerebbe da morire. E girarlo a Cinecittà sarebbe pazzesco. Si tratta di trovare la storia giusta. Beh, un’idea ce l’avrei anche. Un film nello stile degli spaghetti western, in cui però ogni personaggio parla una lingua diversa.

Intanto ha scritto il libro C’era una volta… a Hollywood.

Quando ero bambino mi piacevano tanto le ‘novellizzazioni’ dai film. Ho letto libri da film che non avevo neanche visto! Poi qualche anno fa ho pensato: “Ma sai che erano belli, quei libri? Dovrei scriverne uno anch’io!”. Così ho riguardato le centinaia di pagine di appunti che scrivo sempre, prima di scrivere un film: quelle in cui racconto la vita dei miei personaggi, chi sono, da dove vengono. E un po’ di queste cose le ho messe in C’era una volta… a Hollywood, che non è la trascrizione pura e semplice della storia del film, ma molto di più. Mi sento fortunato, perché il libro è uscito poco prima che scoppiasse la pandemia. Mi sembra di essere l’uccellino inseguito dalla tempesta, entrato in casa proprio quando la finestra sbatte e gli strappa le piume della coda.

C'era una volta a Hollywood, copertina del libro

Come giudica adesso la sua carriera?

Non penso di aver fatto film troppo importanti, penso però di aver fatto film divertenti, e soprattutto di aver fatto i film che volevo.

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