La vita e la carriera di Monica Vitti
Un estratto della biografia ufficiale dell'icona del cinema italiano
Da Roma alla Sicilia. Dalla Sicilia a Napoli, e poi ancora a Roma. Per colpa della guerra e del presentimento che gli americani sarebbero sbarcati proprio in Sicilia.
Monica ha otto anni quando abbandona Messina e, a quanto pare, la notizia la sconvolge a causa di quel bambino biondo di nove anni di cui si è già pazzamente innamorata. Lo osserva da un terrazzo e gli giura amore eterno, come avrebbe fatto in seguito “ancora due o tre volte, non di più”.
Ma c’è la guerra e la necessità di sfuggire al pericolo. La famiglia di Monica si trasferisce da Messina a Napoli “in una bella casa al Vomero, dove si vedeva il mare”, che diventa ben presto un altro luogo da cui fuggire. “La notte la passavamo sempre al rifugio - ha raccontato l’attrice in una delle poche confidenze su quegli anni - ma anche Napoli era diventata pericolosa, così mio padre ci portò a Roma, con una valigetta per pochi giorni, il resto ci avrebbe seguito coi bauli.” Bauli che non sarebbero arrivati mai, a causa di una bomba capace di spazzar via ogni cosa, di cancellare, insieme alla casa e agli oggetti della sua infanzia anche i ricordi.
Quelli la Vitti li ha affidati ai suoi romanzi.
È lì che andando a scavare si trovano i dettagli, quelli sulla famiglia e sull’infanzia, non propriamente un’età dell’oro, come per molti bambini dotati di una buona dose di sensibilità.
I bambini sono sempre felici di essere bambini?
“Non è vero. I bambini sono quasi sempre infelici. Eccetto quelli cretini. O no?”
Sono gli anni in cui le vengono attribuiti i primi significativi nomignoli.
A casa la chiamano “bruttisogni” per quel suo essere tormentata dal sogno e dall’incubo.
Ma la chiamano anche “settesottane”, per quel suo inconsueto vizio di coprirsi troppo. Certo, in Sicilia non c’è il riscaldamento in inverno e sua madre la copre con “maglie, magliette, sottanine, vestitini e grembiulini”, che a lei non danno noia. “Anzi - avrebbe in seguito ricordato - ne ero orgogliosa, e quando veniva qualcuno a trovarci dicevo: ‘vede, io ho sette sottane. Una, due, tre, quattro…’ Mia madre non mi faceva mai arrivare alla settima perché diceva che era una vergogna tirarsi su le gonnelline…”
Racconta che da allora le cose non sono cambiate, continua a vestirsi troppo così come nell’infanzia, e ugualmente continuano a farle compagnia i brutti sogni di ieri, in bilico tra fantasia e realtà.
“Ancora oggi non so bene se certe cose della mia primissima infanzia, che ricordo con chiarezza e con orrore, sono vere o sono brutti sogni.”
Ed è “smemoratella” il terzo affettuoso nomignolo che le affibbiano molto presto i genitori: l’oblio contrapposto alla memoria.
Due i fratelli: Giorgio e Franco. E un precoce sogno di libertà e di indipendenza, che a differenza di loro sente il bisogno di conquistare, di affermare. Forse proprio attraverso la recitazione, chimera che non rientra tra le aspettative familiari.
La famiglia si oppone, ma “che bell’idea fare l’attrice, ti prendi la storia che vuoi, i personaggi che vuoi, qualche volta fai finire la tua storia come vuoi…”.
Al periodo che considera il più difficile della sua vita sfugge fingendo da subito di essere un’altra, complice il fratello Giorgio, allestendo il suo primo spettacolo per i bambini del quartiere. Sei o sette bambini della sua età, per cui da una finestra dotata di una tenda-sipario recita poesie vere o inventate e canta.
E allora che cos’è per lei il teatro?
In seguito avrebbe risposto: “…la fuga, il riposo, il gioco, la mia casa…”.
E ancora: “…la fantasia, la libertà di cambiare sempre la mia storia, di vivere sempre un’altra emozione…”.
Alla sua decisione di entrare in Accademia si oppone soprattutto la madre, preoccupata per via di quella “polvere del palcoscenico che corrode anima e corpo”.
Ma Monica ha le idee chiare, è decisa e disposta a tutto pur di recitare. Così trova il coraggio e si reca in quel posto così esclusivo, già all’inizio degli anni cinquanta, che è l’Accademia.
Ben due volte prima di riuscire ad entrarvi.
Al primo tentativo è Silvio D’Amico in persona ad esaminarla, su un brano tratto da Come le foglie di Giocosa. “Troppa passione, troppo poco distacco dal testo” - le dice D’Amico invitandola a ripresentarsi l’anno successivo. Anno in cui finalmente lo stesso D’Amico la ammette alla scuola: è l’ottobre del 1951.
A questo punto Monica deve superare un solo ed ultimo ostacolo: la sua voce. “Le sue corde vocali non le consentono gli sforzi di una carriera teatrale” - afferma un medico mentre firma un parere negativo su un certificato. Ma lei è pronta a non rispondere delle sue azioni.
“O mi dà il nulla osta o esco da quella porta, scendo le scale e mi butto sotto la prima macchina che passa” - sono le sue convincenti parole. Quasi un’interpretazione teatrale, irresistibile anche per il medico, che getta il primo certificato in un cestino.
“Almeno insegnatele a camminare!” - furono invece quelle che la madre pronuncia rivolgendosi a Sergio Tofano, colui grazie al quale l’attrice muove i suoi primi passi sulle scene, il suo primo vero maestro.
L’esordio in teatro risale al 1953, anche se già diversi anni prima con un gruppo di ragazzi molto più grandi di lei aveva portato in scena La Nemica di Niccodemi.
Sì, la nemica, la madre non la figlia, proprio su sua richiesta.
Ha quattordici anni e mezzo e indossa di nascosto la sua prima maschera: una parrucca bianca da anziana aristocratica e un vestito d’epoca. “Fu un grande successo - ricorda ancora l’attrice - tanti applausi e tanti fiori, e un bell’articolo su “La fiera letteraria” che parlava di me da farmi arrossire.”
Ancora senza il suo celebre nome d’arte e fresca di diploma, Marisa Ceciarelli calca le scene nell’Ifigenia in Aulide di Euripide, apparendo tra le ragazze del coro.
È Sergio Tofano a suggerirle di trovarsi un nome d’arte, che lei cerca e trova all’interno del cognome della madre, quel Vittiglia di cui sceglie la prima parte. Ma per la gente, da allora sino ad oggi, lei è Monica, cui arriva smontando e rimontando le sillabe di Maria Luisa Ceciarelli.
Monica Vitti.
In cartellone suona bene.