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Dario Argento Cover

text Virginia Zullo

14 Dicembre 2023

Dario Argento e il suo legame con Roma

La nostra intervista al grande regista di film horror

“Ho scritto molti dei miei film in alcuni hotel romani”. Parte così il nostro incontro con uno dei più grandi registi italiani, maestro del brivido e autore di capolavori come Profondo rosso e Suspiria. “Ad esempio all’hotel Flora e all’Excelsior in via Veneto - prosegue - allo Shangri-La all’Eur e in un altro, in via Po, di cui ho dimenticato il nome ma che era bellissimo: una costruzione in stile medioevale e un po’ ottocentesca dove aveva abitato anche Fellini. Amavo scrivere negli hotel per non avere ‘rotture’.”

Diretto, senza filtri. È sempre stata questa la chiave del successo di Dario Argento. Lui la paura la sa incutere, ma non sembra toccarlo. E così era fin da bambino, a giudicare dalla foto che ci mostra, scattata da sua madre Elda Luxardo, grande fotografa brasiliana, che lo ritrae a due anni con un piccolo fucile in mano. Nella foto è paffuto e dolcissimo, il piccolo Dario, anche se quel fucile è già un segno che la morte, l’assassinio, il sangue saranno i protagonisti di tutto il suo immaginario di adulto. Nato e cresciuto a Roma, fondamentale fu per lui quel famoso studio fotografico Luxardo, dove passarono tutte le star del cinema: “Stando per ore nello studio di mia madre avevo imparato a guardare il mondo con gli occhi del cinema”.

Suspiria (1977)

La tua esperienza nel cinema è cominciata come critico per Paese Sera.

Sì, anche se non cominciai subito come critico. Inizialmente tenevo una sorta di rubrica settimanale che usciva il lunedì, dove riportavo la lista degli incassi dei film, una cosa semplice ma che nessun altro giornale faceva, con qualche mio piccolo commento. Questa cosa piacque molto al direttore della pagina degli spettacoli, diventammo amici e mi chiese di fare interviste a personaggi famosi del cinema. All’epoca Paese Sera era un giornale molto importante, letto dagli intellettuali, ma anche popolare. È stato un periodo bellissimo, andavo al cinema, guardavo tanti film e scrivevo sia su quelli belli che su quelli brutti. Scrivevo una valanga di critiche, senza velleità o pesantezze concettuali, ma in maniera veloce e diretta e questo piaceva ai lettori.

In passato hai affermato che per te le immagini devono fare l’amore con la musica.

È così, la musica è fondamentale. In quel periodo facevo anche critiche di musica. Ricordo che una volta dovevo recensire un programma importante, a cui partecipava anche Mina. Feci qualche critica anche a lei. Il varietà poi non andò in onda, ma io non lo seppi, perché quella sera andai al cinema, e così uscì la mia critica a un programma mai trasmesso. Il direttore si arrabbiò tantissimo, pensavo mi avrebbero cacciato, ma non fu così.

Poi, da osservatore e critico a protagonista del mondo del cinema. Ci racconti un aneddotto di uno dei tuoi più grandi capolavori, Profondo rosso?

Posso raccontarti che quando mio padre e mio fratello lo lessero trovarono molto da ridire, non gli piaceva proprio, mio padre disse “Sì, ma questo pupazzo che senso ha?… insomma, non so…” Invece al produttore Rizzoli piacque subito. Pensa, fosse stato per mio padre e mio fratello, il mio film di maggiore successo non si sarebbe fatto.

Profondo Rosso (1975)

Il tuo difetto più grande?

Mi appassiono troppo alle cose.

Il pregio?

Sempre la passione. Quando facevo ancora lo sceneggiatore passavo giornate intere a pensare, scrivere…

Un impegno che è stato apprezzato, anche da Sergio Leone…

Sì, avevo 24 anni e insieme a Bertolucci scrivemmo forse uno dei suoi film piu belli, C’era una volta il West.

Ci parli dell’incontro con Bertolucci?

Ci conoscevamo già da prima di scrivere per Leone. Poi, lavorando insieme, diventammo amici. Mi piace il suo cinema, ha sempre avuto classe, anche da giovane. È stato lui a spingermi a fare questo mestiere. Quando gli feci leggere L’uccello dalle piume di cristallo (primo film da regista di Dario Argento, ndr) mi disse che avrebbe avuto successo e in effetti ebbe ragione.

Il tuo rapporto con la psicanalisi?

Bertolucci andava in analisi e mi rimproverava perché io non ci andavo. Leggevo però Freud e mi affascinava molto, mi psicanalizzavo da solo, cercando di capire la mia psiche.

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