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Adriano Giannini

text Matteo Parigi Bini
photo Fabio Lovino

10 Ottobre 2019

Volto, voce e cuore

Adriano Giannini, attore e doppiatore romano. La sua vita dal primo ricordo di un set agli ultimi film

Tra Adriano Giannini e il cinema non è stato amore a prima vista. Ma la scintilla poi è scatta, eccome. Figlio di Giancarlo Giannini e dell’attrice, regista e doppiatrice Livia Giampalmo, non si interessa subito a questo mondo, dove entra a 18 anni come operatore cinematografico, alla ricerca del classico ‘lavoretto post diploma’. Da lì la passione comincia a crescere. Nel 2001, a trent’anni esatti, passa dall’altra parte della macchina da presa, dimostrando un grande talento, che lo ha portato a lavorare con registi come Paolo Sorrentino, Steven Soderbergh, Gabriele Muccino e Giovanni Veronesi. Nel 2006 il primo doppiaggio con Paradiso+Inferno, in cui presta la voce a Heath Ledger, che torna a doppiare nel 2009 ne Il cavaliere oscuro, aggiudicandosi il Nastro d’Argento, così come aveva già fatto nel 2007, doppiando Raz Degan in Centochiodi. Un 2019 intenso il suo, sia a livello personale - prima il matrimonio con Gaia Trussardi questa estate, poi il trasferimento a Milano - che professionale. Un anno che lo vede protagonista di tre film: Vivere, di Francesca Archibugi, dove recita con Micaela Ramazzotti, girato a Roma e uscito a settembre; Tre Piani, di Nanni Moretti, al cinema nel 2020, e l’ultimo film del regista Daniele Luchetti, nelle cui riprese è impegnato mentre lo incontriamo all’Hotel de Russie, esclusivo set del servizio fotografico che vedete in queste pagine, realizzato da Fabio Lovino.

Con uno sguardo penetrante e una voce inconfondibile, Adriano Giannini, nato nel 1971, quest'anno ha recitato in tre film: Vivere, Tre Piani, e il prossimo progetto di Daniele Luchetti

Come si è avvicinato al mondo del cinema?

Nonostante i miei genitori siano entrambi di questo settore, si sono separati quando ero molto piccolo, quindi non ho vissuto quotidianamente mio padre, né il set. Però ho avuto delle esperienze uniche, come quella delle riprese de La città delle donne, di Federico Fellini, girato nello storico Teatro 5 di Cinecittà. È il primo ricordo che ho di un set. C’erano elefanti, ballerine, montagne russe… per un bambino era qualcosa di straordinario solo vederlo al cinema, immaginate caderci dentro... La prima esperienza lavorativa l’ho avuto finita la scuola. Non volevo fare cinema. In realtà non avevo idea di cosa fare, però non volevo perdere tempo. Così chiesi a mia madre, impegnata nella regia di un film, se c’era bisogno di qualcuno che portasse il caffè. Il caso volle che mancasse un aiuto operatore. Dovevo fare un film solo, alla fine ho girato il mondo facendone più di 40, di tutti i generi.

Backstage del servizio fotografico di Fabio Lovino all'Hotel de RussieUn altro scatto di Adriano Giannini durante il servizio fotografico

Nel 2002 è protagonista di Travolti dal destino. Che esperienza è stata lavorare con Madonna?

Era il remake di un film cult in tutto il mondo, anche negli Stati Uniti. Aveva tutte le caratteristiche per essere una situazione complessa: era in inglese, interpretavo il ruolo che era stato di mio padre e il regista era il marito di Madonna (e nel film non mancavano scene di violenza ed eros). Però, non so come, è stato uno dei film più semplici che abbia fatto. È stato molto divertente e Madonna è una persona estremamente gentile e piacevole, oltre che una professionista. 

Ci racconti qualcosa dei suoi ultimi lavori.

È il primo film che faccio con Moretti, lo conosco però da molti anni. È un uomo disponibile, leale e sincero e anche lavorarci è stato molto bello. Quello con Francesca Archibugi è stato un incontro particolare. Girare con una regista donna è sempre affascinante, si percepisce la differenza dello sguardo femminile. Lei, poi, ha una cifra stilistica singolare, riesce a mettere insieme commedia e dramma, densità e leggerezza. Il film è la storia di una coppia un po’ strampalata, che attraversa una crisi, nella quale s’inserisce una ragazza alla pari, molto cattolica, che viene dall’Irlanda. Il mio personaggio vive un disagio esistenziale profondo: non sente più e per sentire ne combina di tutti i colori. 

Romano di nascita e milanese per scelta, Adriano Giannini vanta una carriera internazionale e importanti progetti futuri

Un ricordo speciale?

Il primo a cui penso è legato a un film che forse non conoscete, perché non è uscito in Italia: Dolina. Per girarlo sono stato 5 mesi sui Carpazi, terra di lupi e orsi, ed ero l’unico italiano. Nel cast c’era una attrice bravissima, una signora del teatro ungherese, che non parlava inglese, tantomeno italiano. Un giorno mi fece capire che aveva bisogno di un passaggio e per comunicare e spezzare il silenzio si mise a cantare a squarciagola un’opera lirica italiana.

Il regista con cui le piacerebbe lavorare?

Avrei voluto lavorare con Bertolucci. Purtroppo non è più possibile. Ho però rivisto recentemente Moulin Rouge!. Lo trovo un film di una perfezione, una fantasia e un coraggio unici. Quindi, oggi, direi Baz Luhrmann. Oppure anche Paul Thomas Anderson. Un po’ troppo? (ride)

Buon sangue non mente. Lei infatti è anche un bravissimo doppiatore. Con Raz Degan e Heath Ledger ci sono stati, tra gli altri, Christian Bale, Jude Law, Hugh Jackman, Brad Pitt e Joaquin Phoenix, anche nel film Joker, vincitore del Leone d’Oro di Venezia…

A volte mia mamma mi portava con sé quando andava a doppiare. Ricordo che mentre l’aspettavo giocavo con delle enormi pizze di scarti di pellicole, le tagliavo e le giuntavo. Ma non avevo fatto niente davanti a un microfono. Frequentai una scuola apposita quando cominciai a recitare. Il primo film che mi fece conoscere come doppiatore fu La mala educación di Pedro Almodóvar, fu proprio lui a scegliere la mia voce. I Joker poi, ce li giochiamo tutti in famiglia: mio padre fa quelli vecchi, io quelli nuovi. (ride)

La carriera del doppiatore continua a offrire all'artista ruoli di grande intensità interpretativa, come il recente Joker, premiato con il Leone d'Oro alla Mostra del Cinema di Venezia

Che rapporto ha con Roma?

Non vengo da una famiglia di romani, i miei genitori sono liguri, i miei nonni sono del Sud o addirittura di altri Paesi, però sono nato e cresciuto a Roma. Anche se l’ho vissuta poco, perché ero spesso in viaggio, l’ho sempre amata e continuo ad amarla. Ciò che ho vissuto di più è Cinecittà, me la ricordo con quel sapore felliniano di allora, con tutte le comparse in costumi storici, gli artigiani a lavoro, registi come Ettore Scola, Francis Ford Coppola. Ne conosco ogni angolo e ogni aneddoto. 

Da poco si è trasferito a Milano per amore, come la vive adesso? 

Tornando a Roma, mi rendo conto che la guardo già con occhi diversi. Non la do più per scontata. Mi accorgo del romanticismo, della poeticità, della sua accoglienza, anche un po’ cialtrona, ma calda e piacevole. Ha una bellezza che tocca il cuore.

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