Cinecittà per sempre
A Roma una mostra permanente svela i segreti, i miti, le storie del cinema
Non vi è nulla di più concreto dell’immaginazione, nulla di veramente impossibile. Questo si pensa attraversando i viali della ‘città del cinema’, circondati da antichi alberi di pino, su ciascuno dei quali è inciso il nome di una star. Questa è Cinecittà: una grande bottega di artigiani e artisti in cui ogni cosa è manodopera, ingegno e rigorosa creazione. Una delle esperienze più speciali che offre Roma è l’esposizione permanente Cinecittà si Mostra. Ad accompagnarci nella visita il costumista Carlo Poggioli, impegnato sul set della serie The New Pope di Paolo Sorrentino, giunto per la prima volta a Cinecittà per il film Il nome della Rosa: “Ero assistente di Gabriella Pescucci. Scoprii che i teatri erano pieni di produzioni internazionali: era il tempio del cinema”. La mostra inizia con la sezione Perché Cinecittà, a cura degli scenografi Giovanni Licheri e Alida Cappellini, che ripercorre le ragioni storiche, politiche e culturali della creazione degli stabilimenti, con locandine, immagini e filmati dell’Italia di quegli anni. Se per Gianni Amelio “Cinecittà significa storia e umanesimo”, per Federico Fellini è “il posto ideale, il vuoto cosmico prima del big bang”.
A Fellini - che chiamava Cinecittà “la mia casa” - la mostra dedica un’intera sala, in cui l’immaginario del Maestro viene evocato tra le arcate metafisiche del Colosseo quadrato, tra i disegni, i costumi e gli oggetti dei suoi film più famosi, come l’albero di Amarcord, l’elefante di Intervista e la luna de La voce della luna, film a cui Poggioli ha lavorato: “Era un visualizzatore. Aveva delle visioni sia riguardo alla scenografia che ai costumi. Lavoravamo sempre con i sui disegni che erano assolutamente precisi, con note scritte e indicazioni, anche perché non avevamo le sceneggiature. La storia per noi, il più delle volte, era misteriosa”.
Come attraversare una lunga pellicola, il percorso della mostra continua attraverso i generi cinematografici. Dal cinema dei ‘telefoni bianchi’ al neorealismo, dai ‘peplum’, film storici della Hollywood sul Tevere, alla commedia all’italiana, fino agli spaghetti western, con la riproduzione scenografica di un vecchio saloon in omaggio a Sergio Leone. I generi sono raccontati anche attraverso l’allestimento di 20 costumi originali di film girati negli studi e realizzati da costumisti come Danilo Donati e Piero Tosi. Nel cinema di una volta un’attrice rifiutava un film se non soddisfatta dei costumi ma può accadere ancora oggi: “Con Natalie Portman, attrice vegana che non indossa scarpe, borse di pelle o pellicce. Eravamo in Romania per girare Ritorno a Cold Mountain e abbiamo dovuto cambiare tutto, realizzare perfino le scarpe di tessuto”. La mostra è un’esperienza visiva ma soprattutto emozionale, evocativa degli elementi essenziali del cinema: il buio, la musica, le immagini proiettate sul grande schermo.
Segue Backstage, il percorso interattivo e didattico con una serie di stanze per giocare al mestiere del cinema: la stanza del regista, del costume, degli effetti speciali e del sonoro, in cui si può doppiare un film. L’alto artigianato di Cinecittà è un’eccellenza riconosciuta in tutto il mondo per l’abilità tecnica ed artistica di costruttori, pittori, fabbri, scultori nella realizzazione di straordinari set. Speciale per Poggioli resta il set di Splendor di Scola: “Giravamo in Ciociaria. La sera ci riunivamo sotto un albero di fico e ci divertivamo molto. Dallo scambio di battute tra Mastroianni e Troisi venne fuori la sceneggiatura di Che ora è? Marcello, originario proprio di Arpino aveva una flotta di parenti che mandavano sul set prosciutti, salami, formaggi. Noi custodivamo questo ben di Dio in sartoria che era diventata una salumeria”.Tra questi teatri di posa sono stati girati più di 3.000 film da Il paziente inglese a Il Gladiatore, da Gangs of New York a C’era una volta in America. La mostra offre una visita guidata a tre grandi set: Roma antica, realizzato per la serie Rome, il Tempio di Gerusalemme costruito dagli artigiani di Cinecittà sui calchi delle pietre di Matera, per il film The young Messia, il set della Firenze del ‘400 e l’attrezzeria 107. Memorabile il set di E la nave va: “Fellini aveva ricostruito il mare di plastica che si muoveva. Amava molto lavorare sul finto.”
Dopotutto qual è il confine tra realtà e finzione? A Cinecittà nessuno. Svoltando l’angolo si può finire improvvisamente in un’epoca diversa, sul marciapiede di un’altra città ed imbattersi nei grandi occhi della Venusia che affiora dal giardino.