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Santa Culla nella chiesa di Santa Maria Maggiore
21 Dicembre 2023

10 cose che non sai su Roma

Aneddoti e curiosità sulla città eterna

Mentre gli innamorati di mezzo mondo festeggiano San Valentino con cenette al lume di candele e delizie varie, i romani vanno in chiesa. A pregare? Anche, ma soprattutto a giurarsi amore eterno proprio davanti a lui, San Valentino. Il teschio del santo vescovo, che nella Roma ancora pagana celebrava i matrimoni dei cristiani, sfidando la legge che li vietava, fa bella mostra di sé in Santa Maria in Cosmedin. La chiesa, celebre per la Bocca della Verità, conserva anche la preziosa reliquia. E se in molti dubitano sulla sua autenticità, la credenza popolare ha avuto la meglio. Tanto che la preziosa teca dell’VIII secolo, viene esposta solo il 14 febbraio, ricorrenza del martirio del santo. Giorno peraltro che i romani dedicavano ai Lupercali, inneggianti all’amore, ma quello carnale e carnascialesco.

Non c’è da stupirsi però, a Roma tra sacro e profano sempre e solo scaramucce. Così le leggende più fantasiose diventano più vere del vero. Come è capitato alla Sacra Croce, tutto grazie a un’intraprendente donna, sant’Elena, madre dell’imperatore Costantino che decide di raggiungere Gerusalemme per ritrovare il legno su cui fu crocifisso Gesù. Non solo lo ritrova, ma riesce anche ad appurarne l’autenticità: avvicinandolo a un cadavere l’uomo torna a vivere. Parte della Croce finisce così a Roma dove, nel 325, viene costruita un’apposita chiesa, la Basilica della Santa Croce in Gerusalemme. Alla Croce si sono aggiunti poi il Titulum, con l’irrisoria scritta Gesù Nazareno re dei giudei, il chiodo e le spine della corona. Una lapide protegge poi la terra del Golgota portata con le reliquie. Tanto che la chiesa divenne luogo di pellegrinaggio al pari della Terrasanta.

Ma se esiste la Sacra Croce perché non avere anche la Sacra Culla? Ecco fatto. Un frammento della mangiatoia che accolse Gesù appena nato è conservato infatti in Santa Maria Maggiore. Della culla di Gesù ne parla San Luca e papa Sisto III nel 400 ne rimase così impressionato che volle ricostruire la grotta della Natività, creando così il primo presepe della storia. Il successo fu enorme, inaspettato: migliaia di fedeli arrivavano da ogni dove, così fu inevitabile che i pellegrini diretti in Terrasanta facessero a gara per assicurarsi qualche sacro cimelio. E alla fine ecco che spuntano cinque asticelle di legno d’acero conservate ora in una teca impreziosita da Giuseppe Valadier con scena del presepe, ultima cena e fuga in Egitto. Tutto vero? Chissà. Intanto, papa Gregorio X sulla scia di quello vivente di San Francesco al Greccio fa fare un Presepe in pietra, che è anche il più antico, da Arnolfo di Cambio. L’architetto e scultore crea, sempre in Santa Maria Maggiore, la sacra famiglia, i Magi, il bue e l’asinello, che sotto la luce tremolante delle candele, sembravano prender vita.

presepe più antico7

Fece invece scandalo la cappella voluta dal portoghese Rodrigo Lopez da Sylva nella chiesa di Sant’Isidoro in via degli Artisti. La decorazione fu affidata a Bernini che previde due statue, una rappresentante la Carità che porge generosamente i seni nudi e l’altra la Verità. Troppo ammiccanti per i francescani irlandesi titolari dell’edificio fin dal ‘500. E nell’800 vestirono le due muse con castigate tonache in bronzo dipinto, finalmente rimosse però con i restauri del 2002. E se alle statue di Bernini furono messe le vesti, a una trecentesca Madonna con Bambino che si voleva miracolosa, Rubens mise uno scudo di rame per proteggerla. Infatti l’affresco finito in un bagno pubblico fu recuperato e inglobato nella grande pala d’altare dipinta dall’artista fiammingo per Santa Maria in Vallicella, a due passi da piazza Navona. La genialità di Rubens fu di creare un marchingegno barocco, il quadro motorizzato, con un ovale in rame che sale e scende coprendo e scoprendo l’antica immagine. Stanchi di reliquie? Bene, se vi trovate nei pressi di via del Banco di Santo Spirito cercate il piccolo arco che porta a via Paola. Qui c’è la più antica Targa delle piena del Tevere (trasferita dalla vicina chiesa dei santi Celso e Giuliano) che ricorda l’alluvione del 7 novembre del 1277 avvenuta, si sottolinea, con la ‘chiesa assente’. In effetti da maggio il conclave era riunito a Viterbo e solo il 25 novembre elesse papa Niccolò III. E poiché a Roma niente si butta e tutto si ricicla, anche una palla di cannone ha il suo podio. Stavolta al centro della fontana cinquecentesca davanti a villa Medici al Pincio. Si racconta che fosse la regina Cristina di Svezia, ormai cattolica e romana di adozione, a far tuonare il cannone. C’è chi dice per farsi annunciare a un pittore e chi invece per chiamare a una battuta di caccia i suoi convitati. Di vero ci sono la palla che ha sostituito un giglio e il segno della cannonata lasciato sul portone. E di segni la Porta Alchemica o Magica di piazza Vittorio ne è piena. Costruita nella seconda metà del ‘600 dal marchese Pietraforte Massimiliano Savelli Palombara appassionato di esoterismo, astrologia e alchimia aveva creato nella sua villa una sorta di cenacolo per ricercare la pietra filosofale e trasformare così gli elementi in oro. Si racconta che un suo ospite si dileguasse lasciando dietro di sé un pulviscolo d’oro. Da allora quei simboli furono apposti ovunque, ma l’oro non fu più ricreato. E poteva essere persino più preziosa la medicamentosa acqua acetosa, dal retrogusto ferroso e pungente. Veniva venduta in Campo dei Fiori e papa Paolo V gli dedicò anche una maestosa fontana ai Parioli. Oggi rimane l’Arco degli Acetari che immette in un angolo di pace, una piccola corte, sospesa tra medioevo e ‘800.

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